Dubbi e fraintedimenti interpretativi in tema di esclusione della causa di non punibilità per le forme tentate dei delitti contro il patrimonio in danno di congiunti

DOTTRINA


Pubblicazione: in Riv. pen. n. 7-8/2022
Estorsione
Tentativo
In danno di familiari
Esclusione della causa di non punibilità.

Dubbi e fraintedimenti interpretativi in tema di esclusione della causa di non punibilità per le forme tentate dei delitti contro il patrimonio in danno di congiunti
1)
La vicenda processuale
Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Lecce esercitava l'azione penale nei confronti di P.R., cui veniva contestato il reato di tentata estorsione ex artt.
56
e
629
c.p.
Nello specifico, l'Accusa sosteneva che l'imputato, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, con minacce e atti di violenza nei confronti di sua moglie, pretendeva la consegna di una somma di denaro così da poter soddisfare il proprio bisogno di sostanze stupefacenti e alcol.
Tuttavia, il delitto di estorsione rimaneva nello stadio del tentativo dal momento che la persona offesa vi si opponeva, non cedendo alla richiesta dell'imputato.
Il Tribunale in composizione monocratica, valutato il compendio testimoniale, riteneva l'imputato non punibile, in ragione della applicazione della esimente speciale ex
art. 649, comma 1, c.p.
, che prevede la non punibilità per il soggetto attivo dei delitti contro il patrimonio quando sia legato al soggetto passivo da uno dei vincoli di parentela, di affinità o di matrimonio, come nel caso in questione.
Nonostante il Giudice riconosca che il comma 3 della disposizione in parola esclude la applicazione della causa di non punibilità ai reati contro il patrimonio più gravi, come l'estorsione, decide di sposare la posizione della Suprema Corte di Cassazione (1), che sostiene che l'esclusione di tale esimente si riferisce solo ai reati consumati e non anche a quelli tentati, quale è il delitto in esame.
Difatti, il Giudice, pur riconoscendo che la previsione ex
art. 649, comma 3, c.p.
esclude l'applicazione della causa di non punibilità per i reati di estorsione, rapina e sequestro di persona a fini estorsivi, richiama ai fini della declaratoria di non punibilità una decisione della Suprema Corte di Cassazione, attribuendole l'affermazione del principio per cui tale esclusione non sarebbe estesa alle fattispecie tentate, anche commesse con violenza alla persona, principio di diritto che, però, come vedremo funditus in seguito, non si ritrova nella motivazione.
2)
La ratio legis della causa di non punibilità ex art. 649 c.p.
La vicenda in scrutinio apre le porte all'analisi normativa e giurisprudenziale di una disposizione, l'
art. 649 c.p.
, che ha dato luogo a non pochi dubbi interpretativi, risolti solo in parte dalla giurisprudenza di legittimità.
Invero, come noto, il Legislatore ha previsto nel comma 1 dell'
art. 649 c.p.
la non punibilità dell'autore dei delitti contro il patrimonio indicati nel titolo XIII del codice penale, quando commessi in danno del coniuge non legalmente separato, della parte della unione civile tra persone dello stesso sesso, di un ascendente o discendente o affine in linea retta, ovvero adottante o adottato, del fratello o sorella conviventi.
Inoltre, al comma 2 la previsione in questione prevede che la punibilità sia subordinata alla querela della persona offesa, indipendentemente dalla eventuale procedibilità d'ufficio stabilita per quel particolare delitto, qualora l'agente rientri nelle richiamate categorie del coniuge legalmente separato, della parte della unione civile tra persone dello stesso sesso, nel caso in cui sia stata manifestata la volontà di scioglimento dinanzi all'ufficiale dello stato civile e non sia ancora secondo grado conviventi.
Ebbene, tale particolare causa di non punibilità è espressione del principio di sussidiarietà esterna, che, in un giudizio di bilanciamento tra i beni giuridici in gioco, conduce alla salvaguardia di un bene diverso da quello tutelato mediante la norma incriminatrice (2).
Invero, la ratio sottesa a tale scelta legislativa è da rinvenirsi nella volontà di evitare che un intervento punitivo possa turbare i rapporti familiari, di solito caratterizzati dalla condivisione di interessi di natura morale e sociale, oltre che patrimoniale (3).
Dunque, la tutela penale dell'interesse patrimoniale proprio del singolo individuo leso da quel reato cede il passo ad un bene di rilevanza costituzionale ex artt. 29 e seguenti della Costituzione, ovvero la tutela dei rapporti familiari e della loro coesione.
Peraltro, la stessa Corte costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi sul punto, rilevando perspicuamente che tale disposizione risponde alla finalità di protezione della famiglia «anche ad eventuale discapito del singolo componente, il quale viene privato della tutela penale offerta dalle norme incriminatrici poste a presidio del patrimonio pure se abbia, nel caso concreto, un personale interesse alla punizione del colpevole» (4).
3)
I dubbi interpretativi sulla esclusione della causa di non punibilità ex art. 649, comma 3, c.p.
Proseguendo, il comma 3 dell'
art. 649 c.p.
stabilisce che il regime comune della punibilità e della procedibilità non è derogato per i delitti previsti dagli artt. 628 (rapina), 629 (estorsione), 630 (sequestro di persona a scopo di estorsione) c.p. e per ogni altro delitto contro il patrimonio che sia commesso con violenza alle persone.
Il richiamo specifico ai suddetti delitti rivela la scelta del Legislatore di escludere dalla sfera della punibilità solo le condotte lesive connotate da un interesse di natura patrimoniale, non anche un interesse diverso.
Tuttavia, la prima parte del comma 3 risulta formulata in modo ambiguo e a tratti oscuro, in quanto tale previsione non richiama le corrispondenti forme tentate, donde molteplici dubbi interpretativi emersi nella casistica e in parte risolti dalla Suprema Corte di Cassazione.
Orbene, l'indagine in questione deve necessariamente muovere dalla esatta portata della previsione dell'
art. 56 c.p.
, a norma del quale “chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato se l'azione non si compie o l'evento non si verifica”.
Sul punto, autorevole Dottrina (5) sostiene che il delitto tentato, sebbene si presenti come un minus rispetto al reato consumato, è, dal punto di vista strutturale, un delitto perfetto, caratterizzato da tutti gli elementi essenziali, ovvero tipicità, antigiuridicità e colpevolezza.
Perciò, esso rappresenta una particolare forma di manifestazione del delitto, tale da dar luogo ad autonomo titolo di reato, pur conservando il medesimo nomen iuris della figura corrispondente di delitto consumato.
La qualificazione del delitto tentato quale fattispecie autonoma non è dovuta ad esigenze puramente classificatorie, ma produce rilevanti conseguenze pratiche.
Invero, un costante filone giurisprudenziale, condiviso da una recente sentenza delle Sezioni Unite (6) che esamina una fattispecie diversa ma speculare rispetto a quella in esame, afferma il principio di diritto secondo cui, se la legge ricollega determinati effetti giuridici sfavorevoli alla commissione di reati specificamente indicati mediante l'elencazione degli articoli che li prevedono, deve ritenersi che quegli effetti si producono esclusivamente in relazione alle fattispecie consumate e non anche ai delitti rimasti nello stadio del mero tentativo.
A contrario, se il legislatore ricollega determinati effetti giuridici sfavorevoli alla commissione di fatti criminosi indicati genericamente con le locuzioni “reati” o “delitti”, deve intendersi che si applichino sia alle ipotesi consumate sia a quelle tentate.
La ratio sottesa a tale opzione ermeneutica è correlata, da un lato, al divieto di interpretazione in malam partem e, dall'altro, alla natura autonoma del delitto tentato.
Difatti, non si può ammettere un'interpretazione estensiva della norma penale sfavorevole, che indichi nominativamente i singoli delitti, perché si realizzerebbe un'evidente violazione del principio di tassatività della norma penale, corollario del principio di legalità ex
art. 25 della Costituzione
, in forza del quale il legislatore deve stabilire espressamente ciò che rientra nell'area del “penalmente lecito” e tutto ciò che, al contrario, rientri in quella del “penalmente illecito”.
Né si rende possibile un'applicazione analogica alle corrispondenti ipotesi di delitto tentato, in quanto trattasi di norma penale sfavorevole, la cui estensione determinerebbe la manifesta violazione del principio del favor rei.
Infatti, un'interpretazione in malam partem consentirebbe l'esclusione della causa di non punibilità ad un'ipotesi più lieve rispetto a quella prevista espressamente dal dato normativo.
Tuttavia, dall'altro lato, proprio facendo leva sulla natura autonoma del delitto tentato, ampiamente condivisa dalla Dottrina, il richiamo generico ai “delitti” o ai “reati” necessariamente dovrà includere sia i delitti consumati sia quelli tentati.
Orbene, venendo alla norma in scrutinio, la prima parte del comma 3 richiama espressamente i singoli delitti di cui agli artt.
628
,
629
,
630
c.p., omettendo le corrispondenti forme tentate, con la conseguente applicazione della esclusione della causa di non punibilità ai soli delitti di estorsione, rapina e sequestro di persona a fini estorsivi che si siano consumati.
Sicché, se il legislatore avesse voluto estendere la esclusione della causa di non punibilità anche alle forme tentate, avrebbe dovuto farne menzione o affiancare ad ogni norma il richiamo all'
art. 56 c.p.
Ebbene, se ci limitassimo alla lettura della sola prima parte del comma 3 dell'
art. 649 c.p.
, si giungerebbe alla conclusione per cui non sono mai punibili i reati di cui agli artt.
628
,
629
,
630
c.p. se si arrestano alla forma tentata.
Senonché, la seconda parte del comma 3, con la sua ampia formulazione “ogni altro delitto contro il patrimonio che sia commesso con violenza alle persone” si riferisce - evidentemente -sia ai delitti consumati sia a quelli tentati, in ragione proprio della citata autonomia di questi ultimi.
Di conseguenza, da una lettura complessiva della norma in esame e sulla base dell'iter logico-giuridico seguito dalle Sezioni Unite (7), il regime comune della punibilità e della procedibilità non è derogato per i delitti consumati di cui agli artt.
628
,
629
,
630
c.p. e per ogni delitto contro il patrimonio, consumato o tentato, che sia stato commesso mediante atti di violenza.
Ne consegue che, quest'ultimo sintagma comprende anche i delitti di estorsione, rapina e sequestro di persona a scopi estorsivi, qualora siano stati commessi con violenza alle persone e sebbene si siano arrestati allo stadio del tentativo.
Tuttavia, non sono mancate pronunce che hanno sposato un'interpretazione restrittiva, alla luce dei principi di tassatività e legalità che devono guidare l'interprete e che devono garantire al cittadino leggi chiare e precise, così che egli sappia in qualsiasi momento cosa gli è lecito e cosa gli è vietato (8).
Difatti, facendo leva su tali principi, si sostiene che le norme penali siano di stretta interpretazione; quindi, anche quando la legge utilizza il lemma “delitto”, esso deve intendersi come “delitto consumato”, in quanto, essendo il tentativo una fattispecie autonoma, gli effetti sfavorevoli previsti da una determinata norma devono considerarsi stricto sensu e non possono estendersi anche al delitto tentato, salvo espressa previsione normativa (9).
Sulla base di questa interpretazione, il comma 3 dell'
art. 649 c.p.
farebbe riferimento alle sole forme consumate sia dei reati specificamente indicati, sia dei delitti contro il patrimonio commessi con violenza.
Orbene, la decisione del Tribunale qui annotata finisce per porsi in conflitto con quanto affermato dalle Sezioni Unite che, per quanto in una fattispecie diversa, hanno affermato il principio di cui sopra, utile per la risoluzione della vexata quaestio.
Difatti, il Giudice ha sostenuto che la esclusione della causa di non punibilità si applica solo alle forme consumate degli artt.
628
,
629
e
630
c.p., trascurando, però, la modalità attraverso cui il tentativo era stato posto in essere nell'episodio esaminato, id est con violenza alla persona.
Invero, si trattava di un caso di tentata estorsione accompagnata da atti di violenza contro la moglie e, dunque, pienamente rientrante nella previsione della seconda parte del comma 3 per cui la non punibilità è esclusa per “ogni altro delitto contro il patrimonio che sia commesso con violenza alle persone”.
D'altronde, anche la giurisprudenza della Suprema Corte, richiamata a sostegno della decisione del Tribunale di Lecce, si riferisce ad un caso decisamente diverso, ove si è ritenuta applicabile la causa di non punibilità alla moglie riconosciuta colpevole di tentata estorsione, ma accompagnata dalla sola minaccia ai danni del marito.
Sicché, è evidente che il discrimen è dato proprio dalle modalità di attuazione della condotta, poiché nel caso esaminato dalla Suprema Corte la tentata estorsione si era realizzata con la sola minaccia, mentre nel caso posto all'attenzione del Tribunale di Lecce l'estorsione era stata accompagnata da atti violenti ai danni del coniuge, dunque, pienamente rientrante nella seconda parte dell'
art. 649, comma 3, c.p.
4)
Conclusioni
La vicenda processuale oggetto del presente contributo merita rilievo perché ha costituito l'occasione per fare maggiore chiarezza sulla disposizione ex
art. 649 c.p.
che trascura di richiamare le corrispondenti forme tentate.
Senonché, la sentenza annotata pur potendo avere una sua ratio, confligge con le Sezioni Unite, che hanno chiarito, nell'ambito di una diversa disposizione su cui sorgeva il medesimo dubbio interpretativo, che se c'è un riferimento specifico alle norme, gli effetti sfavorevoli non si applicano alla forma del tentativo, mentre laddove vi sia un riferimento generico ai “delitti”, questo ricomprende anche le fattispecie arrestate allo stadio del tentativo.
D'altronde, la categoria generica dei delitti contro il patrimonio commessi con violenza alla persona deve necessariamente includere anche le fattispecie tentate di rapina, estorsione e sequestro di persona a scopo di estorsione commesse con violenza alla persona, altrimenti si giungerebbe all'assurdo di punire le forme tentate degli altri reati contro il patrimonio, escludendo proprio i delitti più gravi del libro XIII del codice.
Del resto, l'orientamento della Corte in subiecta materia è tutto orientato nell'escludere la non punibilità per le forme tentate commesse con violenza alle persone (10).
Da ultimo, richiamando proprio il giudizio di bilanciamento con cui si è aperto il presente contributo e la ratio legis che guida tale causa di non punibilità, il regime preferenziale può trovare giustificazione laddove si intenda tutelare la famiglia a fronte di un interesse soccombente, quale è quello patrimoniale, ma non altrettanto può dirsi quando il bene giuridico contrapposto è dato dalla libertà personale dell'individuo, offesa in caso di violenza alla persona, che non può ritenersi secondaria rispetto alla tutela dei rapporti familiari.
(1)
Cass. pen., Sez. II, 27 febbraio 2009, n. 12403.
(2)
G. COCCO, Il fondamento e i limiti dei rapporti familiari come causa di non punibilità o di perseguibilità a querela di parte, in “Responsabilità civile e previdenza”, fasc. 4, 2015, p. 1048B.
(3)
FIANDACA, MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, vol. II, tomo II, Delitti contro il patrimonio, VII ed., 2015, pp. 42-43; MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, V ed., vol. IX, p. 354; PISAPIA, I rapporti di famiglia come causa di non punibilità, RIDP 1951, 17, p. 49; GILIBERTI, Anche la violenza morale esclude la non punibilità dei congiunti ex
art. 649 c.p.
, FD 2011, 6, p. 582 ss.
(4)
Corte cost., 25 luglio 2000, n. 352.
(5)
In tal senso, MARINUCCI, DOLCINI, Manuale di diritto penale, Parte generale, Giuffrè, Milano, 2021, p. 532; FIANDACA, MUSCO, Diritto penale. Parte generale, VIII ed., 2019, p. 463; ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte generale, XVI ed. 2003 (a cura di Conti), p. 481; BETTIOL, PETTOELLO, PADOVANI, Diritto penale, XII, ed., 1986, p. 619; GALLO, Appunti di diritto penale, vol. III, Le forme di manifestazione del reato, 2003, p. 106.
(6)
Cass., S.U., 24 settembre 2018, n. 40985. La questione di diritto sulla quale si sono pronunciate le Sezioni Unite è riassumibile nei seguenti termini: “se sia possibile disporre il sequestro preventivo finalizzato alla c.d. confisca allargata
D.L. 8 giugno 1992, n. 306
, ex art. 12-sexies, convertito, con modificazioni, dalla
L. 7 agosto 1992, n. 356
, e succ. mod., nel caso di violazione dei reati contemplati da tale norma, anche nella forma del tentativo aggravato dalla
L. n. 203 del 1991
, art. 7". L'art. 12-sexies cit., è stato oggetto di diverse riforme, da ultimo quella operata dal D.lgs. 29 ottobre 2016, n. 202, art. 5, comma 1. Nel testo vigente all'epoca di emissione del decreto di sequestro la norma non faceva alcun riferimento ai delitti tentati o consumati. Tuttavia, nel comma 1 elencava nominativamente specifici delitti mentre nel secondo contemplava tutti i delitti, purché aggravati ai sensi della
L. n. 203 del 1991
. È evidente come il dubbio interpretativo alla base di tale pronuncia sia lo stesso che colpisce l'
art. 649, comma 3, c.p.
, che presenta una formulazione analoga.
(7)
Cit., Cass., S.U., 24 settembre 2018, n. 40985.
(8)
In tal senso, Corte Cost., 24 marzo 1988, n. 364.
(9)
In tal senso, Cass., Sez. II, 22 ottobre 2013, n. 5504; Cass., Sez. II, 21 settembre 2017, n. 47062.
(10)
In tal senso, Cass. pen., Sez. II, 17 novembre 2016, n. 53631: “La disposizione di cui all'ultimo comma dell'
art. 649 cod. pen.
, che esclude l'operatività della causa di non punibilità prevista per i reati contro il patrimonio commessi fra determinate categorie di familiari quando vi sia stato impiego di violenza alla persona, si applica anche ai delitti tentati e non solo a quelli consumati”; conf. Cass. pen., Sez. II, 9 luglio 2010, n. 28686; Cass. pen., Sez. II, 24 gennaio 1995, n. 3542; Cass. pen., Sez. II, 18 maggio 1990, n. 3718.
Riferimenti normativi:
Data ultima modifica: 14/07/2022


DOCUMENTI CORRELATI
Non sono presenti documenti correlati